STORIA DEI DOLCI ROMANI
Il torrone dei Sanniti
Tra le molte leggende che circolano su uno dei dolci più «ancestrali» del mediterraneo, una è particolarmente vivida. Si tratta di un racconto orale, che non è certo da prendere come verità storica. Tuttavia, come ogni favola contiene un po’ di verità, così questa leggenda rivela l’antichissima origine del nostro dolce preferito, nonché la sua diffusione tra le popolazioni che si affacciavano sul «Mare Nostrum».
L’episodio a cui ci riferiamo risale alla seconda guerra sannitica, che gli storici collocano fra il 326 – 304 a.C.
In questi anni, la giovane Repubblica Romana cominciava la sua lotta per l’egemonia nell’Italia centrale scontrandosi con una delle più agguerrite popolazioni confinanti: i Sanniti.
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Sebbene Roma uscì vincitrice dalla guerra, nessuno storico dimenticò una delle più grandi umiliazioni a cui l’Urbe fu sottoposta: la sconfitta delle Forche Caudine. Nel 321 a.C., come racconta Tito Livio nel suo Ab Urbe condita, le legioni romane, ingannate da spie sannite travestite da pastori, si indirizzarono una stretta gola montuosa con l’obbiettivo di soccorrere dai Sanniti una città alleata.
Qui, presso le strettoie di Caudio, furono prese facilmente in trappola dai nemici che, tuttavia, non uccisero i legionari, ma li umiliarono con la subjugatio, il passaggio sotto il giogo. Ciascun soldato fu costretto ad inchinarsi di fronte all’esercito sannita in trionfo.
La leggenda vuole che l’umiliazione fosse stata così cocente da bloccare lo stomaco ai Romani, rischiando di farli morire d’inedia. Allora, i Sanniti, che non li volevano morti ma testimoni della loro vittoria, prepararono un dolce tradizionale tanto ghiotto da far tornare loro l’appetito e, al contempo, la consolazione.
I romani chiamarono il dolce cupedia, dal verbo cupio, che poteva significare tanto «ghiottoneria» quanto «cosa desiderata». Nome che, nel corso dei secoli, passò ad indicare i dolci precursori del nostro torrone: quelle preparazioni a base di miele, uova e frutta tostata che, chiuse da un’ostia, una cialda di pane o biscotto, sono reperibili in moltissimi ricettari della tradizione mediterranea.
Il pangiallo
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Il pangiallo è un antico dolce romano preparato per le festività natalizie. Secondo alcune leggende veniva cucinato in occasione del solstizio d’inverno per essere poi mangiato o regalato, come segno di buon auspicio, il 25 dicembre, una data che nell’antica Roma corrispondeva al giorno del “dies natalis solis invicti” cioè il “giorno del Natale del sole invincibile”. Si trattava di una festività istituita dall’imperatore Aureliano per celebrare la rinascita del sole, morto nel solstizio d’inverno.
Il pangiallo infatti è un dolce che nella forma e nel colore richiama appunto il sole: ha la conformazione di una pagnotta e la sua superficie è ricoperta da una glassa di colore giallo acceso. Per quanto riguarda il suo interno, la ricetta tradizionale prevede un impasto di frutta secca, miele, cedro e canditi. Esiste però anche un’altra versione “più economica” inventata dalle massaie romane che, non potendo permettersi le mandorle e le nocciole, utilizzavano le prugne e le albicocche essiccate.
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La tradizionale ricetta del pangiallo è citata anche nel “De re coquinaria” del famoso cuoco Apicio, vissuto circa duemila anni fa. Il noto chef, nel suo capitolo dedicato ai dolci, consigliava per una migliore riuscita del pangiallo di: mescolare nel miele pepato anche del vino puro, dell’uva passita, della ruta e di aggiungere a questi ingredienti i pinoli, le noci della città di Avella e la farina d’orzo.
Oltre alla ricetta tradizionale esistono anche molte varianti che vedono la presenza del cioccolato fondente o della confettura di fichi. Per quanto riguarda la sua particolarità, ovvero la superficie color oro: alcuni la preparano mettendo nella glassa lo zafferano, altri utilizzano l’uovo.
Nel corso dei decenni il pangiallo ha perso il suo primato nella lista dei dolci romani natalizi, ma la produzione di questo antico dolce continua a persistere nella zona dei Castelli Romani e in molte famiglie più tradizionali che ancora oggi lo preparano in casa per poi regalarlo ad amici e parenti come simbolo di rinascita.
(Fonte:http://www.caligolapalermo.it)